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L’ESTREMO ORIENTE RUSSO: LA CHIAVE PER UNA “VIA ASIATICA” NELLA POLITICA ESTERA RUSSA?

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Quello dell’Estremo Oriente è il più grande degli otto distretti federali russi. Al suo interno troviamo quattro province (oblasti), di cui una autonoma (la Provincia Autonoma degli Ebrei, creata negli anni Trenta da Stalin per deportarvi gli Ebrei dell’Unione Sovietica), un circondariato autonomo, tre territori (kraja) e una Repubblica, la Sacha-Jacuzia. Nel distretto troviamo un’ampia gamma di ambienti naturali, dalle foreste temperate della costa pacifica alla tundra dell’estremo nord, passando per la taiga siberiana e i vulcani della Kamčatka. Non meno variegata è la sua popolazione, composta in gran parte da Russi etnici ma con una forte presenza di gruppi minoritari. Tra questi ultimi troviamo soprattutto etnie indigene, come gli Jacuti o Sacha (il più settentrionale dei popoli turchi), gli Ainu, gli Evenki e i Čukči, ma non mancano comunità di deportati (come i Coreani di Sachalin, discendenti dei Coreani coartatamente trasferiti sull’isola quando questa si trovava sotto la dominazione giapponese) e di immigrati, tra cui una crescente comunità cinese. La regione, tuttavia, è nell’insieme sostanzialmente spopolata, e i suoi abitanti (circa 6.300.000 nel 2013) sono peraltro in calo a dispetto di una bilancia demografica leggermente positiva.

Ma l’Estremo Oriente russo è tutt’altro che privo di opportunità. Il ruolo della regione nel complesso dell’economia statale è ancora trascurabile, ma la sua crescita non si è arrestata neanche durante la dura crisi del 2009, quando il suo PIL è aumentato dell’1,5% a fronte di un calo del 7,6% a livello nazionale (1). Tradizionalmente i maggiori interessi nell’area sono legati alle risorse minerarie, soprattutto petrolio, gas naturale, oro e diamanti, ma oggi la sua maggiore ricchezza è probabilmente la posizione geografica, a breve distanza tanto da due potenze economiche ormai affermate (Giappone e Corea del Sud) quanto da una terza, la Cina, che pur avendo un PIL pro capite nettamente inferiore a quello russo ha un’economia in forte crescita – sebbene non più ai tassi a due cifre a cui siamo stati abituati per molti anni – e attualmente è la seconda potenza economica mondiale. Più distanti, ma comunque non eccessivamente, troviamo altre economie asiatiche emergenti, come l’Indonesia, la Malaysia, il Vietnam e l’India. Il Pacifico, secondo non pochi analisti, nei prossimi decenni potrebbe diventare il nuovo epicentro dell’economia mondiale spodestando l’Atlantico, e per la Russia perdere questo treno potrebbe rivelarsi un errore fatale. Dopotutto, secondo alcune stime, se solo il 2% delle importazioni totali dei Paesi dell’Asia Orientale passasse attraverso l’Estremo Oriente russo, l’economia della regione crescerebbe a un tasso annuo del 6% (2).

Per anni questo distretto è stato di fatto abbandonato a sé stesso, la sua popolazione emigrava per via della deindustrializzazione e dell’oblio delle autorità centrali, e chi rimaneva spesso si cullava nelle nostalgie del socialismo reale, o peggio si abbandonava all’alcolismo. Ma l’attenzione del governo nazionale per la regione è oggi in crescita: già nel 2000 fu istituito il Ministero per lo Sviluppo dell’Estremo Oriente, e da allora gli stanziamenti annuali per la regione sono aumentati dai 35 milioni di dollari dei primi anni Duemila ai 2,3 miliardi del 2012 (3). E, sempre nel 2012, Vladivostok ha ospitato il 24°forum dell’APEC (Associazione per la Cooperazione Economica dell’Asia-Pacifico), beneficiando, a seguito dell’organizzazione dell’evento, della costruzione di alcune importanti opere pubbliche, come recentemente si è assistito anche per Soči. L’aeroporto è stato potenziato con un nuovo terminal, sullo Zolotoj Rog (4) è stato costruito uno spettacolare ponte sospeso e un altro, il Ponte di Russia (Russkij Most), ha visto la luce tra la terraferma e l’Isola Russa, nella quale si è svolto il vertice.

Il rischio di ripetere i fallimenti del passato, però, è ben presente. Già nel 1959, dopotutto, l’allora Segretario Generale del Partito Comunista sovietico Nikita Chruščëv, durante una visita a Vladivostok, aveva promesso ai suoi abitanti di rendere la città “migliore di San Francisco”. La visita di Chruščëv fu seguita dall’arrivo di ingenti stanziamenti, ma purtroppo la maggior parte di questi finirono nella costruzione di “chruščëvki” (5) e di una funicolare vagamente ispirata al celebre cable car di San Francisco. Il “socialismo reale” è ormai un ricordo del passato, ma non la grandeur delle dichiarazioni dei politici locali e nazionali. A più di cinquant’anni dall’arrivo di Chruščëv a Vladivostok, infatti, il Ministro per lo Sviluppo dell’Estremo Oriente Aleksandr Galuška ha annunciato la creazione di Zone Economiche Speciali (in seguito ZES) e di parchi industriali, tecnologici ed agricoli, “al fine di rendere l’Estremo Oriente russo più attraente di Hong Kong o Singapore per gli investimenti” (6). Va detto, comunque, che i progetti sono oggi più seri: le strutture sull’Isola Russa che hanno ospitato il vertice dell’APEC, ad esempio, attualmente accolgono il campus dell’Università Federale dell’Estremo Oriente, e il governo russo, in generale, sembra essere seriamente intenzionato a trasformare non solo questo distretto, ma l’intero Paese in una meta attraente per gli investimenti stranieri. E questa politica ha iniziato a dare i propri frutti: nel 2013, infatti, il Paese ha guadagnato ben diciannove posizioni nella classifica Doing Business pubblicata attualmente dalla Banca Mondiale, e l’obiettivo di raggiungere il ventesimo posto entro il 2018 posto dal governo russo non sembra più così irrealizzabile (7).
Non deve sorprendere se l’interesse internazionale per l’Estremo Oriente russo sia attualmente in crescita, come dimostrato soprattutto dal boom degli investimenti. Sotto questo punto di vista i più attivi sono senza dubbio i Cinesi, e malgrado non manchino i timori che la loro influenza nella regione possa diventare eccessiva, questa è in realtà una delle non troppe aree dove gli investimenti provenienti dal fu Celeste Impero sono incondizionatamente accolti a braccia aperte. Oltre che nel settore minerario e in quello degli idrocarburi, gli imprenditori cinesi sono particolarmente attivi nell’agricoltura: nel Territorio Litoraneo, dove si trova Vladivostok, circa seimila chilometri quadrati di terra (pari a poco meno del territorio del Friuli-Venezia Giulia) sono di proprietà cinese, e alcune delle aziende agricole da essi gestite esportano in tutta la regione dell’Asia-Pacifico. Non pochi, poi, sono i cittadini cinesi che lavorano nell’Estremo Oriente russo, dove gli stipendi sono più alti che nella madrepatria, sebbene solo pochi di loro abbiano scelto di stabilirsi permanentemente in Russia (8).

L’impetuosa crescita dei rapporti economici tra la Russia e la Cina è favorita anche dalla crescente cooperazione in ambito monetario. Nel 2009 è stata introdotta la convertibilità diretta tra il rublo e lo yuan, e in Russia quella cinese è oggi la terza valuta di riserva in ordine di popolarità dopo il dollaro e l’euro. Dal novembre 2013 i cittadini russi possono visitare senza bisogno di visto Suifenhe, paese di frontiera della Repubblica Popolare a circa 200 chilometri da Vladivostok, e oggi possono fare acquisti pagando in rubli e non in yuan. Suifenhe, così, è diventata la prima città del fu Celeste Impero a consentire la circolazione di una valuta straniera (9). Il più importante accordo tra Russia e Cina firmato negli ultimi anni, però, è quello sottoscritto nel 2010, con cui il colosso petrolifero russo Rosneft’ si impegna a vendere una quantità complessiva di 300 milioni di tonnellate di petrolio alla Cina nei successivi vent’anni e a costruire una raffineria a Tientsin, non lontano da Pechino (10).
Gli investimenti nell’Estremo Oriente russo, però, non vengono solo dalla Cina, sebbene attualmente sia quest’ultima a fare la parte del leone. Anche per evitare un’eccessiva dipendenza dal proprio potente vicino, le autorità russe stanno cercando di attrarre investimenti anche da altri Paesi, in particolare Giappone e Corea del Sud. Allo stato presente, molti di essi riguardano il settore degli idrocarburi. due dei quattro azionisti della Sakhalin Energy Company Ltd., che gestisce i giacimenti di petrolio e gas dell’Isola di Sachalin, sono le società giapponesi Mitsubishi e Mitsui (11). I giacimenti servono soprattutto i mercati giapponesi e sudcoreani, e al momento il gas di Sachalin viene esportato soprattutto in forma liquefatta; è però in fase di progettazione una condotta che collegherà Sachalin alla Prefettura di Ibaraki, non lontano da Tokyo (12). Ma anche da parte di Giapponesi e Sudcoreani non manca un certo interesse per altri settori. Nel dicembre scorso, ad esempio, un istituto di credito giapponese ha richiesto l’istituzione di una ZES agricola tra la Regione Litoranea e la Provincia di Chabarovsk, stimolato dalle condizioni fiscali alquanto vantaggiose previste dalla legislazione russa per questo tipo di aree: le tasse sui profitti ammontano ad appena il 2% nei primi cinque anni per poi aumentare fino al 15,5% in quelli successivi, e le esportazioni sono esenti da dazi (13). Nel frattempo, la coreana Hyundai Electrosystems ha aperto uno stabilimento nei pressi di Vladivostok, che attualmente impiega circa trecento lavoratori altamente specializzati sia russi sia coreani (14), mentre in Siberia una start-up agricola ha affittato circa centomila ettari di terra per impiantarvi alcune colture, soprattutto soia. Tra gli altri progetti ricordiamo il potenziamento del Porto di Vanino, non lontano da Chabarovsk (il capoluogo del Distretto Federale) e la costruzione di cantieri navali nello stesso (15). Una certa attenzione per la regione è stata espressa anche da alcuni potenziali investitori indiani (16).
Ma, per i capitali stranieri, il clima non è sempre business friendly. La situazione è senza dubbio in miglioramento, ma l’Estremo Oriente russo è ancora lontano dal trasformarsi in una nuova Hong Kong o in una nuova Singapore come auspicato dai proclami ufficiali. Le autorità russe sono pienamente consapevoli del fatto che gli investimenti stranieri sono indispensabili per rilanciare la regione, ma ancora oggi gli ostacoli che questi ultimi devono affrontare sono numerosi. Uno dei principali, ad esempio, riguarda la manodopera, specie quella altamente specializzata e in settori come l’allevamento del bestiame: da un lato quella locale è scarsa, dall’altro la trafila per poter “importare” i lavoratori dal proprio Paese, o comunque assumere lavoratori stranieri, è piuttosto lunga. Un alto ufficiale sudcoreano afferma che sono ancora diverse le questioni in sospeso relative alla manodopera e alle formalità doganali da discutere con la controparte russa (17), mentre, per quanto riguarda il Giappone, la piena regolarizzazione dei rapporti commerciali con la Russia passa attraverso la risoluzione dell’ormai pluridecennale disputa delle Isole Curili. In generale, Giapponesi e Sudcoreani sembrano mostrare una certa cautela nell’avventurarsi nell’Estremo Oriente russo, e attualmente gli unici ad investire nella regione con entusiasmo sono i Cinesi (18). Da notare, poi, che tra questi ultimi non manca chi sembra vedere l’Estremo Oriente russo soprattutto come una riserva di materie prime, senza avere piani a lungo termine per il suo sviluppo. L’ex Ministro per lo Sviluppo dell’Estremo Oriente Viktor Išaev, ad esempio, ha affermato che molti commercianti cinesi acquistano grandi quantità di pesce in Russia a prezzi prestabiliti per poi lavorarlo in Cina, e che tutti i tentativi di spostare la lavorazione del pesce in Russia sono stati al momento inutili (19).
Ad essere in gioco non è solo lo sviluppo di quella che, fino a qualche anno fa, era una delle aree più depresse della Russia, ma la futura collocazione internazionale di Mosca tra Europa e Asia. Il rischio che la Grande Madre si ritrovi ad essere l’anello debole della catena in un asse russo-cinese è reale, così come tutt’altro che peregrina è la possibilità che la Russia diventi un semplice fornitore di materie prime di Pechino. E la posta in gioco è alta non solo per il Cremlino, per il quale l’assenza di una politica per l’Asia Orientale sarebbe un errore imperdonabile, ma anche per tutti quei Paesi interessati ad attuare una politica di contenimento nei confronti di una Cina sempre più assertiva nell’Estasia, primi tra tutti gli Stati Uniti. Durante la conferenza “Riprogettare il futuro dell’Eurasia: la Russia, la Cina e l’Unione Europea”, tenutasi a Washington il 25 settembre 2013, Rensselaer W. Lee, un prominente esperto di politiche eurasiatiche, ha affermato che “l’influenza economica cinese vivrà una crescita nei prossimi anni” e che, pertanto, è necessario che Stati Uniti, Giappone, Corea del Sud e anche i Paesi dell’Unione Europea investano nella regione al fine di rafforzare la propria influenza culturale, economica e politica nella stessa. Per Lee “il fine della strategia non è quello di cacciare la Cina dalla regione, bensì di portarvi l’Occidente”, ma è molto difficile credere che quello di contenere l’influenza cinese nell’Estremo Oriente russo, e in generale in Russia, non rientri tra gli obiettivi principali della strategia. Lo stesso Lee, nel corso della conferenza, ha affermato che i Paesi occidentali, il Giappone e la Corea del Sud dovrebbero sfruttare i loro vantaggi nei confronti dei Cinesi, in primis quelli tecnologici (20).
Come è noto, negli ultimi anni l’epicentro degli interessi statunitensi si sta spostando dal Medio Oriente, che ormai non pochi considerano una vera e propria trappola per gli Stati Uniti (21), all’Estremo Oriente, dove questi ultimi – con alterne fortune – stanno avviando una strategia di contenimento della Cina. Il successo di tale politica sarebbe molto improbabile senza l’appoggio russo, sia perché il Cremlino dispone di enormi risorse minerarie, sia in quanto esso è di fatto l’unico baluardo contro una possibile sinizzazione dell’Asia Centrale. Di tutto ciò sono pienamente consapevoli tanto i leader dei principali Paesi asiatici, molti dei quali non a caso accolgono Putin con tutti gli onori, quanto probabilmente lo stesso Obama. L’ipotesi della nascita di un asse russo-statunitense in funzione anticinese, però, attualmente è quantomeno improbabile: i conti in sospeso tra i due Paesi non mancano, e i numerosi “reset” annunciati da Obama e Kerry negli ultimi anni si sono inevitabilmente infranti con la permanenza di vecchie divergenze e la nascita di nuove (basti pensare alla ben nota situazione ucraina). La Russia, dal canto suo, è attualmente molto più orientata verso la Cina che non verso i suoi antagonisti, e uno degli interessi strategici comuni ai due Paesi è proprio la riduzione dell’influenza statunitense. La Cina promuove un’immagine sostanzialmente positiva del suo vicino settentrionale, e alla vigilia delle Olimpiadi di Soči, mentre la stampa occidentale era intrisa di reportage sull’omofobia in Russia e sui presunti disagi sostenuti da atleti e giornalisti in trasferta in Russia, in Cina i giornalisti elogiavano l’armoniosa convivenza tra i due Paesi (22).
Parlare di un’alleanza russo-cinese, tuttavia, è prematuro. Entrambi i Paesi, dopotutto, hanno ambizioni da grande potenza, in particolare la Cina, e le divergenze tra gli interessi strategici dei due Paesi non mancano. Tanto in Russia quanto in Cina non mancano le preoccupazioni che il loro partner possa diventare eccessivamente potente. La Russia, per esempio, ha rifiutato la proposta cinese di creare un’area di libero scambio tra i Paesi del Gruppo di Shanghai, mentre la possibile adesione all’Unione Doganale Eurasiatica del Vietnam – non propriamente uno Stato amico della Cina, malgrado una certa affinità culturale – è anche un mezzo per entrambi i Paesi per proteggersi dalla crescente influenza cinese. La Cina, dal canto suo, ha adottato la logica del divide et impera nei confronti di Russia e Giappone, e i loro faticosi ma fruttuosi tentativi di migliorare le proprie relazioni sono in parte una reazione a questa strategia (23). I miglioramenti sono stati manifesti soprattutto durante l’ultimo mandato presidenziale di Putin, e alcuni esperti ritengono che, nei prossimi mesi, il Giappone possa persino mitigare le proprie pretese sulle Isole Curili (24). Eventuali cambiamenti, tuttavia, sono tutt’altro che improbabili.
Secondo lo storico diplomatico ed esperto russo di politica estera Fëdor Luk’janov, la Russia dovrebbe rivolgere una maggiore attenzione nei confronti dei propri rapporti con i Paesi asiatici. Creare uno spazio economico dall’Europa all’Estremo Oriente, a suo avviso, è di gran lunga più importante della contesa con l’Europa per l’Ucraina o per qualunque altro Paese ex-sovietico, ricordando come la posta in gioco nell’Asia Orientale sia di gran lunga maggiore di quella in Europa (25). Per alcuni la Russia dovrebbe ufficialmente trasformarsi in un Paese asiatico e compiere un’operazione simile a quella compiuta da Pietro il Grande agli inizi del Settecento, ma in senso opposto, ossia spostare la capitale sulle rive del Pacifico. Ma una tale operazione incontrerebbe non pochi ostacoli: a prescindere dal fatto che ciò implicherebbe abbandonare il cuore economico, culturale e sociale della Grande Madre, molti Russi vedrebbero in maniera tutt’altro che positiva quella che di fatto sarebbe un atto di asianizzazione formale del Paese. Malgrado la maggior parte del territorio russo sia locato in tale continente, il Paese è a tutt’oggi una potenza di gran lunga più europea che asiatica, e anche la sua cultura, malgrado le sue influenze turche e mongoliche, è comunque sostanzialmente europea. Specie in virtù del peggioramento dei rapporti tra Europa e Russia e della forte dipendenza di quest’ultima nei confronti dei mercati europei per la vendita di petrolio e gas, rafforzare i propri legami con l’Estremo Oriente è una necessità per il Cremlino, ma per quanto uno spostamento del centro di gravità verso oriente potrebbe rivelarsi una mossa lungimirante, convincere la stragrande maggioranza della popolazione a cambiare i propri punti di riferimento è tutt’altro che facile. La Russia, dopotutto, potrà anche aver successo nel trasformare le sue regioni orientali in un eldorado, ma non pochi, se costretti a scegliere tra lo sviluppo dell’Estremo Oriente russo e la permanenza di Kiev sotto la sfera di influenza di Mosca, probabilmente sceglierebbero quest’ultima.

NOTE

1) www.gks.ru/free_doc/new_site/vvp/din98-10.xls

2) http://www.rg.ru/2013/11/01/plani-site-anons.html

3) http://rbth.ru/business/2013/02/09/russias_far_east_struggles_to_modernize_its_economy_22643.html

4) Lo Zolotoj Rog è un fiordo che divide Vladivostok in due parti e che prende il nome dal celeberrimo Corno d’Oro costantinopolitano.

5)Le chruščëvki (gioco di parole tra Chruščëv e truščovy, in russo “catapecchie”) sono case popolari costruite con materiali prefabbricati e facilmente deperibili.

6) http://www.rg.ru/2013/12/31/atr.html

7) http://www.doingbusiness.org/data/exploreeconomies/russia/

8) http://www.reuters.com/article/2013/12/22/us-china-russia-agriculture-insight-idUSBRE9BL00X20131222

9) http://www.kommersant.ru/doc/2364129

10) http://tengrinews.kz/russia/rossiya-uvelichit-eksport-nefti-v-kitay-cherez-kazahstan-v-2014-godu-229204/

11) http://www.sakhalinenergy.com/en/company/about_company/management_structure.wbp

12) http://www.energyglobal.com/news/pipelines/articles/Japanese_energy_companies_express_interest_in_Sakhalin_to_Hokkaido_gas_pipeline.aspx#.Uwg38IVkZpE

13) http://www.pravda.ru/economics/agriculture/farming/25-12-2013/1186722-japan-0/

14) http://www.zrpress.ru/markets/primorje_30.01.2013_59040_kompanija-khende-elektrosistemy-obosnovalas-v-arteme-na-novom-zavode.html

15) http://www.koreaherald.com/view.php?ud=20130609000328

16) http://www.asianage.com/ideas/russian-far-east-has-opportunities-india-676

17) http://www.koreaherald.com/view.php?ud=20130609000328

18) http://www.reuters.com/article/2013/12/22/us-china-russia-agriculture-insight-idUSBRE9BL00X20131222

19) http://rbth.ru/business/2013/02/09/russias_far_east_struggles_to_modernize_its_economy_22643.html

20) http://primamedia.ru/news/economics/09.12.2013/321074/dalniy-vostok-rossii-obladaet-ogromnim-ekonomicheskim-potentsialom-ekspert-iz-s.html

21) Secondo il Keiser Report, dal 1976 al 2013 gli Stati Uniti hanno speso ben 8 trilioni di dollari per la sicurezza dei Paesi del Golfo. Si tratta di una somma ciclopica, che secondo l’economista Roger Stern supera persino quanto speso dagli Stati Uniti per la Guerra Fredda (fonte: http://temi.repubblica.it/limes/il-2014-sara-un-anno-da-ricordare/56584 ).

22) http://temi.repubblica.it/limes/senza-obama-il-palcoscenico-di-sochi-2014-e-per-la-cina-di-xi/57837

23) http://www.foreignaffairs.com/articles/140288/fiona-hill/gang-of-two

24) http://www.dw.de/russo-japanese-ties-thaw-after-long-freeze/a-17375834

25) http://en.ria.ru/columnists/20131118/184783108/Uncertain-World-Russia-Shifting-the-Focus-from-Europe-to-Asia.html

 


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